CATTANEO E MAZZINI

    Un vero contrasto tra il Mazzini e il Cattaneo non vi fu mai. L'episodio del 30 aprile 1848, tra questi due uomini, devesi spiegare con la tensione degli animi in quelle giornate tempestose. E' vero che i due uomini non si accordavano nelle concezioni politiche, ma tuttavia non ebbero mai a combattersi di proposito; e si può dire che l'uno seguisse la sua strada indipendentemente dall'altro, pur nutrendo ambedue la fede repubblicana, e ambedue lottando continuamente per la libertà d'Italia dallo straniero.

    Il Mazzini anzi, anche dopo l'episodio del 30 aprile, ebbe a chiedere consigli al Cattaneo, e negli ultimi anni il Cattaneo a sua volta cominciò ad apprezzare il Mazzini assai più che non facesse nel 1848 e nelle considerazioni dell'Archivio Triennale (I, 319).

    Ma ora, a noi interessa di vedere in che precisamente consistesse la divergenza delle vedute politiche fra il Cattaneo e il Mazzini.

    Dalla quale divergenza si potrà vedere perché questi due uomini, che percorrendo insieme la medesima strada avrebbero grandemente giovato alla causa alla quale si eran votati, fossero indotti a considerarsi come l'uno straniero all'altro, perseguendo ciascuno un ideale politico diverso.





    Nel 1831 Giuseppe Mazzini fondava la Giovane Italia. Il Cattaneo nelle considerazioni al primo volume dell'Archivio Triennale, ne notava in contrasto alle "taciturne" società dei Carbonari, l'eloquenza e la fondatezza teorica, ma non credeva che la Giovane Italia dovesse riuscire efficace sulle plebi, "La Giovane Italia, - scriveva il Cattaneo - fratellanza non muta, anzi eloquente, armata di dottrine filosofiche e di bello stile attinto al fonte biblico e agli esemplari di Gian Giacomo e di Ugo Foscolo, aspirava bensì a richiamare la religione dal satellizio degli oppressori, e rifarla confortatrice evangelica degli oppressi; ciò che significava col motto Dio e Popolo. Ma parlava una lingua ardua alle plebi, e a molti eziandio che non si stimano plebe. No, non era popolare; non penetrava addentro nella carne del popolo, come la coscrizione, e il bastone tedesco, e la legge del bollo, e l'esattore; e il circondario confinante, e le sciabole di settembre e di gennaio. L'eco della Giovane Italia era nella generosa e poetica gioventù delle Università, delle Accademie e delle aule teologiche. Essa, con gli occhi confitti nell'esercito straniero, pareva riservare ad altra generazione le dispute tribunizie e l'emancipazione del popolo, per accingersi anzi tutto alla pugna. La sua fede era dittatoria, cesarea, napoleonica. Anelava alla forza militare e all'unità". Al Cattaneo questa associazione mazziniana non sembrava repubblicana: "esclusivamente e fanaticamente repubblicana". Il Mazzini si era rivolto a un re; gli aveva detto di far tutta sua l'Italia, di essere il Napoleone della libertà italiana, a Mazzini non bastava un Cromwell o un Washington, voleva un Napoleone. E il Cattaneo si meravigliava che certa gente dicesse che mazziniano voleva dir repubblicano. "Senonché - continua il Cattaneo - poco monta se codesta scuola nascesse primamente e deliberatamente repubblicana, poiché il suo voto d'indipendenza trionfante e di libera unità non poteva mai, mai compiersi se non colla forma repubblicana. E per verità, qual risposta fece il giovane re all'araldo della nazione e della guerra?". Non fece che condannare a morte ignominiosa il Mazzini assente e con lui dovettero andare fuggitivi e condannati Gioberti e Garibaldi.





    Il Cattaneo non credeva ai moti inconsulti isolati; non approvava le società segrete perché all'iniziazione, ai patti, voleva sostituire la dottrina, l'idea. L'Italia però deve a Mazzini questo: l'aver egli fatto in modo, mediante la sua instancabile predicazione, che l'idea fosse più forte del fatto. Il Mazzini perciò "fu il precursore del risorgimento; egli che nel 1831 aveva già concetta nella mente la santa crociata del 1848, allora incredibile ai savi mondani, egli che aveva visto sin d'allora il seno dell'Austria come quello della vipera, squarciato dalle nazioni entro racchiuse". I giovani che già appartennero alla Giovane Italia, sciolti da ogni rito, poterono approfondarsi con maggiore efficacia nell'onda popolare, e "tradussero in volgare alle smembrate provincie l'arcano dell'unità". Adoprarono ogni mezzo per tradurre la sublime idea che li esaltava nella realtà; essi rivelarono così il popolo al popolo, l'Italia all'Italia. Ma come va, si fa obbiettare il Cattaneo dal lettore delle sue "Considerazioni", che il Mazzini, che voleva dare al re la Corona d'Italia, e pel quale aveva dettato nel 1831 il programma che adottò nel 1848, fosse predicato dai "servi del re" come "frenetico repubblicano" e perseguitato a morte? Non insospettitevi, sembra rispondere il Cattaneo. Il Mazzini voleva un regno quale la Francia aveva sperato da Napoleone; non un "regno di schiavi decirati, e di prelati oppressori, e di gesuiti eredipeti, di giudici venali, di gendarmi, di censori, di spie", quale era quello di Carlo Alberto; "ma regno di cittadini armati e deliberanti; il regno del merito presieduto da un eroe". Si capisce, dunque, che il regno del Mazzini non essendo quello del re di Sardegna ("il quale si vantava d'esser composto d'un re che comanda, d'una nobiltà che governa, e d'un popolo che obbedisce"), dovesse mettere in sospetto i "servi del re", i quali gli gridarono che quella era un'insidia, un tradimento, una scelleraggine, e vollero da lui pegno di sangue contro gli innovatori. "E siccome fitte erano le tenebre della pubblica opinione - continua il Cattaneo - e il nome di repubblica, non ostante la vicinanza delle valli svizzere, erasi artificiosamente associato ad ogni sorta di fatti atroci e luride nefandità, così perché nessuno volesse il nuovo regno, bastò, l'andar predicando ch'era la Repubblica!".





    La massima divergenza, in fatto di politica, tra il pensiero del Cattaneo a quello del Mazzini, consiste nella forma da darsi al governo della nazione libera: unità o federalismo. In una lettera del Cattaneo al Ferrari, il quale divideva con lui gran parte delle dottrine politiche, scritta nel 1851, diceva a proposito del fallimento della guerra del '48 e dei giudizi su essa del Mazzini: "La guerra del 1848 fu intrapresa senza patto da chi l'ha guidata e non fu federale. Mazzini vaneggia quando in uno degli ultimi suoi manifesti la chiama guerra federale e consiglia di non ritentare l'infausto esperimento". In questo giudizio risulta chiara la diversa posizione dei due uomini. "I popoli - egli continua - devono statuire fin dal primo momento la libertà, la sovranità, ma devono darsi immediato soccorso come fanno i loro nemici, e farne pubblico patto... Un patto federale vuole una dieta, un congresso, una costituente che lo scriva e che lo sancisca... Bisogna contrapporre la Federazione alla fusione e non all'unità, e mostrare che un patto fra popoli liberi è la sola via che può avviarli alla concordia e all'unità; ma ogni fusione conduce al divorzio, all'odio... Io trovo fusionari tanto i Mazziniani quanto gli Azegliani, quelli stanno a questi come i corpi franchi all'esercito".

    Da ciò appare come il Cattaneo non fosse contrario all'unità, ma alla fusione che aveva condotto al fallimento della guerra del '48. All'unità egli voleva giungere per mezzo della Federazione dei popoli liberi, i quali esprimono la loro volontà in un patto di concordia. Nell'unità deve trovarsi dunque la federazione.

    In questo punto la divergenza tra il Cattaneo e il Mazzini, coll'andar del tempo e con lo svolgersi degli avvenimenti rimane immutata; anzi da certe espressioni verbali pare accentuarsi. Scriveva a Mauro Macchi nel '56: "Compiango le tue tribolazioni coi frati (!) mazziniani... Quando i Mazziniani fanno evviva all'unità bisogna rispondere facendo evviva alli Stati Uniti d'Italia. In questa formula, la sola che sia compatibile colla libertà e coll'Italia, vi è la teoria e vi è la pratica: tutte le questioni possibili vi stanno già sciolte con un gigantesco esempio di cui la Svizzera offre il compendio ad uso interno di qualsiasi provincia italiana che voglia avere in seno la pace e la libertà".





    Nel 1859 in una risposta Agli esuli italiani in Londra scriveva: "Il vostro programma non sarebbe più dunque unità e repubblica, ma unità e monarchia. Il vostro programma sarebbe dimezzato; perché avreste espunta la repubblica. Sarebbe diverso; purché avreste intromessa la monarchia. Senonché la monarchia, voi dite, sarebbe solo l'impresa dell'oggi.

    La repubblica sarebbe dunque l'impresa riserbata in petto per il dimani. Questa vi pare l'eterna inviolabile moralità? A guerra finita poi se "la maggioranza vorrà il re, voi avrete fin d'oggi tradita la repubblica; se la maggioranza non vorrà il re voi avrete fin d'oggi decretato la guerra civile. Voi volete la monarchia per aver la vittoria e volete la vittoria, per aver la repubblica. La monarchia é dunque così necessaria alla vittoria! Dunque voi avete preso ad avere più fede nelle guerre regie che non in quelle del popolo...".(1)

    Certo lo spirito di religiosità che pervade tutto l'insegnamento mazziniano, e che distingue di colpo il Mazzini da tutti i grandi uomini politici del secolo scorso, non poteva essere compreso dal Cattaneo, tutto assorto nei problemi della ragione, e sempre addestratosi nella trattazione di questioni reali e positive. L'acume di storico che possiede il Cattaneo, invano noi cercheremmo negli scritti del Mazzini, dove impera soltanto l'Idea riscaldata da un grande affiato religioso e morale. Il Mazzini è dogmatico nella sua predicazione, e ciò non poteva assecondare lo spirito del Cattaneo, che nell'insegnamento preferiva la libera ricerca del motto di "Verità e Libertà". E quindi come potevano accordarsi in politica? Il Mazzini vedeva l'Italia attraverso il suo ideale innovatore e morale; il Cattaneo vedeva l'Italia come l'aveva studiata attraverso i dati delle ricerche positive. Mazzini voleva l'Italia una, perché solo così essa sarebbe sortita alla missione inspiratale da Dio; Cattaneo voleva che l'Italia godesse i vantaggi della sua varia conformazione naturale economica e sociale, perché era convinto che solo così essa potesse vivere e prosperare nella civiltà. Come potevano dunque accordarsi l'apostolo dell'unità e il capo del federalismo italiano?

    Su un punto capitale essi si accordarono: l'Italia libera dallo straniero, e a questo ideale ambedue, con diversa voce e per diverse vie, nell'esilio e in patria, sacrificarono le anime ardenti e pure.

BRUNO BRUNELLO




"Coloro che procedettero alle annessioni poterono camminare sui vecchi viali posati lungo tutta l'Italia da Mazzini. E' più che un quarto di secolo dacché l'apostolato, il quale in Italia sostituì all'antico amore della libertà il culto dell'unità, s'inaugurò, se ben ricordo, nel 1832 con quella lettera di Mazzini al re Carlo Alberto in cui si leggeva: "Siate il Napoleone dell'Italia. Fatela tutta vostra e felice".
"La nuova Politica ha preso il Mazzinismo e cacciò i mazziniani; li cacciò dall'Italia; li cacciò dalla Svizzera; chiuse la bocca ai loro giornali. Era necessario che all'Europa l'invenzione apparisse nuova. La differenza tra il cavourismo e il mazzinismo è unicamente in ciò, che Mazzini non pensò di dare a Carlo Alberto un alleato. Egli intendeva in cuor sincero di dargli l'Italia tutta per mezzo degli italiani; o anche solamente d'un coro di martiri, che immolando eroicamente le giovanili loro vite alla Italia avrebbero meravigliato e innamorato il popolo. E a quei tempi non v'era un alleato possibile. Il napoleonismo dormiva in una tomba.
"Cavour lo trovò desto e in piedi e armato di forza e d'arte. Si lasciò bendar gli occhi; (!) e afferrar per mano; (!) e andar qua e là; in Oriente e in Occidente (!!). Non lasciò frattanto di tener raccolta a sé la gioventù italiana, facendole ripetere da cento voci il rosario dell'unità. Da ultimo, nel discorso della corona invocò Dio e il Popolo.
"L'unità mazziniana, combinata coll'alleanza imperiale e separato dal principio dell'armamento popolare, conduceva già per sé l'Italia al napoleonismo. Infatti, escluso una volta il braccio del popolo che nel 1848 ebbe la forza di prendere tutta l'Italia e le isole, il braccio dell'esercito francese era il solo che potesse prendere tutta l'Italia e tenerla.
"Colla cessione di Nizza, Cavour si è già lasciato torre di mano l'unità. Il suo re non può più essere il re dell'Italia una. O Cavour deve negare l'Italia una, o ha già negate il suo "re". (Savoia e Nizza, 1860, in "Scritti politici ed epistolario", II, 244).